A broken coffee machine

DavexDilaraxKlaus

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    anònim
    Quel giorno esattamente appena stava per mettere piedi fuori di casa, Dave sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni. Lo afferrò e vide che la chiamata proveniva da sua madre? Cosa mai avrebbe potuto volere di mattina presto? Si affrettò quindi a premere il tasto verde per rispondere e portò il telefono all’orecchio per allontano subito dopo quando la voce di sua madre gli trapanò i timpani. Avrebbe mai imparato che non vi era bisogno di gridare e che lui la sentiva benissimo anche se parlava normalmente? Probabilmente no. Se c’era qualcosa in cui i suoi genitori eccellevano era il non comprendere alcune cose basilari: certi concetti rimbalzano contro il loro cervello ed uscivano alla velocità con cui erano entrati. Sinceramente Dave alcune volta si ritrovava veramente a pensare se lui era davvero il frutto dell’amore di quelle due persone. Dopotutto i suoi dubbi erano giustamente più che fondati dato che nella sua famiglia non c’era traccia di qualcuno che potesse anche un minimo assomigliarli, almeno per intelligenza ed attitudini: erano tutti devoti alle arti e non sapevano fare altro. ≪Lo sai vero che sarai la causa della mia sordità? Non devi gridare al telefono, mamma!≫ furono le prime parole che pronunciò quella mattina, portandosi una mano alla fronte prima di scuotere il capo dalla disperazione. Ascoltò attentamente quello che sua madre gli disse, mentre scese dalle scale del suo condominio per dirigersi al lavoro. Ad un certo punto però smise di sentire ciò che gli stava dicendo visto che si era persa a raccontargli delle avventure dei vicini con i figli. Dave si limitava ad annuire mentre pensava assolutamente a tutt’altro, in particolare a un lavoro che avrebbe dovuto portare al termine quel giorno.
    Arrivò alla Caulfield base in orario come tutti i giorni, timbrò la sua entrata per dirigersi poi a grandi passi verso il laboratorio, appoggiare le sue cose in modo disordinato su una sedia per poi mettersi subito a lavorare al computer. Il giorno precedente aveva avuto dei problemi con un programma che misteriosamente aveva deciso di andare in vacanza. Aveva provato a fare qualcosa ma siccome non aveva avuto molto tempo si era limitato a spegnare tutto. La speranza era che dopo un pò di riposo fosse pronto a collaborare. Dave sbuffò leggermente ma quando vide che tutto funzionava alla perfezione non potè che tirare un sospiro di sollievo. Era proprio vero che alcune volte spegnere e riaccendere era la soluzione migliore a tutto ed evitare parecchio tempo perso oltre che a nervosi incredibili.
    Dopo aver lavorato metà mattina sul progetto che doveva terminare, portandolo a compimento, Dave si alzò per andare a prendere qualcosa da bere alle macchinette che erano poste lì vicino. Solitamente preferiva camminare fino al bar ma visto che un giorno alla settimana era chiuso, quel giorno doveva perfora ripiegare sul caffè accettabile che veniva servito alla macchinetta. Non appena però mise piede fuori dal laboratorio ciò che notò immediatamente fu la grande fila e folla che era tra lui ed il caffè della mattina. Portò entrambe le braccia hai finche per sbuffare ed alzare gli occhi al cielo. In quella base vi era delle tecnologia incredibile eppure nessuno si era ancora preso la briga di sistemare una macchinetta che evidentemente aveva parecchi difetti. ≪E’ nuovamente rotta, giusto?≫ chiese alla persona che si trovava davanti a lui, in fila per prendere qualcosa da bere durante la breve pausa mattutina. Quella giornata era iniziato proprio con il piede giusto: una interminabile chiamata con sua madre ed un caffè che probabilmente non avrebbe neanche bevuto!
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    Era un giorno come un altro.
    Nella mia routine giornaliera, c'era lo svegliarsi presto e fare il solito esercizio fisico. Una sveglia che era alle 5 del mattino, orario in cui, alla base del Caufield, non c'erano molte persone. Gli unici che giravano, erano altri soldati. Molto spesso, mi ritrovavo a fissarli, stando però, sulle mie e lontano da tutti. Molto presto, da quando mi allenavo con tutti quanti, mi ero reso conto, che più stavo a contatto con gli altri e più li sognavo. Sognare le sventure degli altri soldati, non era positivo. Probabilmente, era anche uno dei motivi, per cui me ne stavo sempre sulle mie. Ero, anche, abbastanza sicuro, che nessuno di loro, avesse idea, di come parlassi, del mio tono di voce o chissà di che altro.
    Dopo il solito esercizio fisico, che mi prendeva circa un ora, una doccia veloce e mi vestivo. IL mio abbigliamento era molto semplice e speravo che potesse, anche, nascondermi e mimetizzarmi col muro grigio... speranza vana, ma ogni tanto, ci speravo sempre. Una delle cose che più mi lasciava perplesso, era che la mia arma, non era il solito fucile standard, che avevano un po' tutti i soldati. Avevo una semplice pistola con dardi. Una cosa inutile. Se qualcuno scappava, io sarei stato l'unico, a non potermi difendere come si deve. Anche se mi lasciava perplesso, sapevo perché. Così come sapevo, perché non potevo allontanarmi dalla struttura, infatti la mia "stanza", era situata in un punto strategico, facilmente accessibile da chiunque. Non avevo privacy, non che poi facessi chissà che cosa nel mio pomeriggio libero: restavo steso sul letto, con la testa in giù, che sporgeva dal materasso e mi mettevo a sentire la musica. Chiunque umano avesse inventato la musica, doveva esser stato un genio.
    Questo pomeriggio, infatti, non vedevo l'ora che arrivasse.. il mio unico pomeriggio libero, ogni due settimane. Sembrava quasi che avessi una bella riserva di energie. A onor del vero, mi bastavano anche 5 ore di sonno, per essere sveglio e pimpante, con tante energie a disposizione. Ma adesso... non era ancora il momento di pensare a cosa fare, durante il pomeriggio. Probabilmente avrei messo una stazione radio, sperando di trovare qualcosa di rilassante e che mi svuotasse il cervello. Non potevo assolutamente pensare, a quei bastardi che avevano trucidato la mia famiglia. Se solo li avessi avuto tra le mani... Avrei fatto una bella frittata di alieno. Già... perché la struttura dove vivevo, si occupava della cattura di alieni. Finora non ero riuscito ancora a catturarne uno, li potevo solo vedere da lontano e appena passavano per i corridoi, io non ero mai potuto esserci. Per un motivo o per un altro, io ero sempre da qualche altra parte. In fondo, c'erano molte cose da fare, e bisognava avere sempre i soldati in movimento, sennò si atrofizzavano.
    Girato l'angolo, mi fermai. C'era una fila di persone per prendere da mangiare... non che avessi fame. Mi avvicinai, quasi a mettermi in fila, ma tenendomi un po' spostato, così chiunque fosse arrivato, avrebbe potuto superarmi come niente fosse. Il caffè non lo prendevo molto spesso, avevo sentito che molti ne dipendevano, nemmeno fosse chissà che sostanza. Scossi la testa, voltandomi, sentendo qualcuno che parlava con me: un tizio, che sembrava abbastanza stanco. - Probabile che sia rotto, signore - risposi facendo un saluto militare, e spostandomi, poggiandomi al muro.
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    klaus jax-j [ sheet ]
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    anònim
    Aveva soltanto poche ore di sonno: il dottor Hoyt l'aveva messa dietro un lavoro faticoso quanto complicato e se era riuscita a portarlo a termine senza impazzire era stato soltanto per pura misericordia divina... se un Dio c'era davvero lì dentro!
    Il problema era che nonostante fosse rincasata ad un orario ben accessibile, Dilara non era riuscita ad addormentarsi sennon prima delle tre... cosa molto fuorviante, visto che alle sette doveva già svegliarsi per prepararsi e recarsi alla base.
    Le energie eran al pari di zero, per questo appena arrivata aveva fatto avanti ed indietro - già più di qualche volta, in realtà - dalla macchinetta del caffé poco distante dalla sua postazione... perché se non s'appropriava di un po' di caffeina, allora quella che stava per trascorrere non solo sarebbe stata una giornataccia, ma si sarebbe piazzata anche nella classifica delle giornate meno produttive dell'anno... e quella era l'ultima cosa che desiderava in quel momento. Tra l'altro il tempo faceva davvero pietà, e questo rendeva l'umore della donna - già condizionato da soggetti esterni - tendenzialmente cupo.
    Era strano vederla in quel particolar modo: no, non per quanto riguardava l'energia - Dilara non era certo il tipo che sprizzava energia da tutti i pori, non sempre per lo meno -, bensì l'esser sorridente e calma. Tutti la conoscevano come una ragazza generalmente tranquilla, non sempre sulle sue - quando poteva riusciva a parlare con chiunque, basta che questi le dessero corda - ma mai oscura, preda da una crisi nervosa.
    Forse avrebbe dovuto rallentare, prendersi un po' di ferie, del tempo libero per staccare la spina da calcoli, concetti, probabilità e cose assai difficili che avrebbero fatto impazzire chiunque... ma pensarlo non significava farlo, e Dilara non voleva supplicare Hoyt: non le piaceva... lui e tutta l'organizzazione che aveva messo su. Se lavorava al suo fianco doveva ringraziare soltanto il capo del dipartimento scientifico del governo statunitense, che l'aveva praticamente costretta a trasferirsi a Roswell per dar loro una mano... fosse stato per lei si sarebbe fatta indietro all'istante - anzi: probabilmente non si sarebbe mai presentata per un impiego del genere - ma il lavoro era lavoro ed il suo principale (non quello a cui era costretta lì), le piaceva e non poteva perderlo per dei deficienti impazziti il cui unico piacere era quello di distrugger vite.
    Oh sì, sapeva perfettamente che tutta la Caulfield fosse nel torto... ma cosa poteva farci lei? Non poteva parlare, non poteva commentare né tanto meno supporre o fare considerazioni... tutto quel che poteva fare era metter voce sulla scienza e su tutto ciò che essa rappresentava. Gli alieni maltrattati? Cercava di starne a distanza, loro non vedevano lei e lei altrettanto. Le urla? Aveva trovato un escamotage: cuffiette per i-pad, con un po' di musica alta persino le voci sparivano, amalgamandosi al dono che Dio aveva fatto all'umanità. Modo fin troppo insensibile, soprattutto per lei - che in cuor suo aveva sempre professato l'amore, la pace e soprattutto l'uguaglianza - ma cos'altro poteva fare? Lei era una macchiolina, lì dentro... un numero... ed era asservita.
    Ed incazzata... sempre più incazzata col tempo che aveva impiegato per addormentarsi: ah se soltanto fosse riuscita a chiuder occhio un po' prima! Adesso non si sarebbe trovata - un'altra volta - in cammino verso una stupida macchinetta.

    ≪E’ nuovamente rotta, giusto?≫ riconoscendo la voce di David Twins, suo collega, Dilara si avvicinò ormai senza speranze, per poi bloccarsi per circa qualche secondo nel vedere la persona con cui il dottore stava parlando.
    Klaus JAX-J, alieno e - da qualche settimana ormai - soldato al servizio della Caulfield. Raggelerò nel ricordare l'"esperimento" a cui era stato sottoposto. Dilara si morse il labbro inferiore e mise da parte i pensieri, facendosi forza e continuando a camminare, dirigendosi verso la coppia che, a quanto sembrava, eran anche gli ultimi della fila.
    Probabile che sia rotto, signore. - Di nuovo? domandò all'affermazione del soldato, per poi sbuffare appena. - Quando si decideranno a cambiarla? Hanno tutto il denaro necessario per comprarne una decente, perché si ostinano a far riparare questa se alla fine si rompe sempre? chiese apertamente, scuotendo poi il capo.
    Achimeun dashi ol geoya. Eotteon eodumdo eotteon gyejeoldo.
    Yeongweonhal sun Eopseunikka.
    dilara turan [ sheet ]
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    Erano due settimane che non faceva una dormita decente. Alycia osservò allo specchio le occhiaie scure sotto gli occhi, che ormai le facevano compagnia dal giorno in cui era stata assunta a Caufield. Ogni notte nella sua testa rimbombavano le urla dei prigionieri, i lamenti dei bambini. Non riusciva mai davvero a staccare da quell’orrore, complice il fatto che vivesse negli alloggi della base e questa cosa iniziasse a farla sentire essa stessa una prigioniera senza una casa accogliente alla quale tornare alla fine di una lunga giornata.
    Ripiegò con una buona dose di correttore e un rossetto rosso scuro che distoglieva l’attenzione dagli occhi stanchi. O almeno, era quello che sperava. Abbinò una camicetta dello stesso colore del rossetto a una gonna di tartan grigio fino al ginocchio, tutto abbigliamento super professionale regalatole da sua madre prima che iniziasse il nuovo impiego. Anche il camice lo aveva scelto lei, come ogni cosa della sua vita.
    Meno male che aveva con sè il proprio thermos di caffè per affrontare la giornata. Odiava il caffè insapore della macchinetta, che tra l’altro spesso era fuori uso. Quindi aveva l’abitudine di portarlo sempre con sé, e il suo calore rassicurante era l’unica cosa che le dava la forza di dirigersi verso il suo laboratorio per un nuovo giorno di lavoro. Passando davanti alla macchinetta del caffè, si accorse della fila creatasi davanti a essa: era rotta, di nuovo. Alycia era tutt’altro che socievole, ma dopo due settimane che era lì si era resa conto di conoscere a malapena due o tre nomi e non sapere nulla sui suoi colleghi…piuttosto triste. Quindi, decise di sforzarsi e rivolgere un sorriso cortese ai due ragazzi e alla ragazza che si lamentavano del malfunzionamento.
    -Se volete ho un thermos pieno di caffè caldo- disse, a voce alta.
    La ragione sa molte cose, ma la follia ne sa una più grande.
    Alycia Ergüçlü [ sheet ]
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    anònim
    Vedere come un semplice oggetto come una macchinetta del caffè si rompesse in quel modo, indisponeva molto Dave: dopotutto il denaro di certo non mancava quindi era inspiegabile il motivo per cui si ritrovavano con qualcosa che puntualmente mostrava di avere dei difetti nella progettazione visto che raramente funzionava.
    Sicuramente quel pensiero non poteva essere l’unico a farlo: Dave era più che certo che altri all’interno di quella base fossero particolarmente stufi di dover aver a che fare con qualcosa che non funzionava. Sinceramente se quella macchinetta non sarebbe stata cambiata in tempi brevi probabilmente lui, dopo aver svolto tutti i suoi compiti, avrebbe speso del prezioso tempo per garantire almeno un caffè. Non ne poteva davvero più di doversi ritrovare a fare la fila come i bambini delle elementari giusto perché tutti avevano voglia di bere qualcosa durante la loro pausa, com’era più che giusto.
    - Probabile che sia rotto, signore - la voce arrivò alle sue orecchie ed immediatamente Dave girò il suo sguardo. Un pò di conversazione in quel frangete di tempo non gli avrebbe fatto di certo dispiacere: anzi sarebbe stato un ottimo modo per far passare molto più velocemente quell’attesa che avrebbe potuto portare dei risultati negativi. Non poteva sapere dopotutto se dopo la macchinetta rotta il caffè sarebbe finito proprio quanto la persona prima di lui aveva cliccato il bottone per ricevere la bevanda calda.
    ≪Molto probabilmente: dopotutto succede ogni due per tre, no?≫ commentò Dave in risposta al tizio che si era appoggiato il muro dopo aver fatto il saluto militare. Quella breve conversazione venne interrotta dall’arrivo di un’altra persona che evidentemente voleva prendere qualcosa da bere: Dilara. Dave la conosceva anche se a parte alcune interazioni non avevano mai avuto occasione di lavorare assieme allo stesso progetto o svolgere la stessa mansione. Si incrociavano spesso in laboratorio ma nulla di più. Di nuovo? Quando si decideranno a cambiarla? Hanno tutto il denaro necessario per comprarne una decente, perché si ostinano a far riparare questa se alla fine si rompe sempre? Sinceramente anche lui si poneva quella domanda, da troppo tempo. Non poteva fare un reclamo o qualcos’altro? ≪Evidentemente non hanno abbastanza tempo o voglia per quel che mi riguarda!≫ rispose Dave, fornendo la sua versione dei fatti. Dopotutto se avevano i soldi ciò che li spingeva a non fare nulla per sistemare qualcosa di difettoso era la mancava di tempo o voglia. Certo, poteva anche essere che il compito fosse stato affidato ad un incompetente che puntualmente si era dimenticato di fare il suo lavoro. Nessuna opzione poteva essere esclusa.
    ≪Sono Dave comunque… Come procede il lavoro Dilara, giusto?≫ Allungò la mano verso il tipo appoggiato alla parete. Gli sembrava il minimo conoscere almeno il suo nome visto che stavano conversando, almeno in quel momento. Che poi Dave lo avrebbe ricordato o no in futuro era solo in base a quanto avrebbero interagito dopo quel breve incontro. Successivamente, per perdere il tempo mentre attendevano il loro turno, rivolse la parola a Dilara, chiedendole come procedesse il suo lavoro, qualunque esso fosse.
    Dave in realtà non voleva perdere molto tempo per un caffè, ma ne aveva davvero bisogno quel giorno quindi si sarebbe fermato quasi volentieri a chiacchierare se ciò avrebbe accelerato i tempi di attesa facendoli scorrere più velocemente. Fortunatamente per lui ed i suoi compagni di sventura, un’altra persona con cui aveva interagito e lavorato poco assieme arrivò come loro ancora di salvezza: aveva un termos pieno di the caldo che avrebbe condiviso con loro. ≪Ci spostiamo in una sala relax?≫ chiese Dave spostando il suo sguardo prima sul tipo appoggiato al muro, successivamente su Dilara ed infine si fermò su Alycia, mostrando un sorriso. ≪Sono sicuro che troveremmo dei posti a sedere e anche delle tazze da utilizzare, sempre se a voi sta bene. ≫
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    David (Dave) Twins [ sheet ]
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    Sembrava che in quella giornata, c'erano molte persone, che volevano e avevano bisogno di una botta di caffeina. Non ero sicuro di potermi classificare, come quelle persone. Sapevo solo... che avevo bisogno di qualcosa. Caffè? Non ne ero sicuro. Più che altro, volevo solo passeggiare un po'. Ora mi ritrovavo in una coda, di cui non sapevo nemmeno di far parte, e dovevo apprestarmi a tale, giusto? Di certo non potevo rifiutare, dato che ero sempre sotto controllo. Dovevo fare il bravo. Più facevo il bravo, e più mi lasciavano in pace.... seppur sempre sotto controllo.
    Dietro di me, la fila aumentava. Un vero peccato, che non sapessi aggiustare quell'aggeggio, ero, per lo più, decorativo. In effetti, molto spesso, mi sembrava di reggere solo un muro. Potevo tirarmi indietro? Probabilmente, non avrei potuto. Dietro di me, oltre al tizio, c'erano altre tre persone.
    Osservai una delle due donne, accigliandomi leggermente, un po' come se fosse stata colpa mia, se fosse rotta. - Mi spiace per il suo caffè, signora - mi stavo quasi per imporre, di non fare un inchino... che invece feci, proprio mentre pensavo di non farlo. Dovevo proprio avere qualche rotella fuori posto. Pensare una cosa e fare il contrario. Forse un caffè avrebbe fatto comodo anche a me. Almeno l'altra ragazza, sembrava più disponibile. Un thermos? Inclinai leggermente il capo, studiandola... molto spesso, alcune parole, mi creavano parecchia confusione.. non erano parole difficili, ma mi creavano molto spesso, parecchi pensieri. Scossi la testa, distogliendo l'attenzione da lei e ritornando al signore di prima. Dentro quella base, giravano molte facce... non riconoscevo nessuno dei tre, ma c'era anche da dire che... non guardavo molto spesso in faccia le persone, almeno che la situazione non fosse necessaria. Essere in sosta, in fila, per un caffè, non era mai stata una situazione necessaria.
    Osservai il tizio, mentre allungava la sua mano. Presentarsi stringendosi la mano... era così... innocente. Mi morsi l'interno guancia e feci di nuovo il saluto, sbattendo anche i talloni, attirando non poca attenzione su di me, ma che potevo farci? Mi avevano sempre detto di salutare così, no? Segno di rispetto ed altro. - Soldato semplice Klaus, a rapporto. - In un certo qual modo, mi ero presentato anche per le altre due. Una delle quali si chiamava Dilara.
    Non volendo lasciare per primo, la mia postazione di comando, non potevo certo lasciare il "mio muro" scoperto... almeno finché non si fosse presentato qualcun altro. " Non va lasciato alcun muro scoperto, Klaus. Non sia mai che le persone vengano attaccate da muri crollati " anche se più che muri, da qualsiasi altra cosa che non siano muri.
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    Più guardava il ragazzo che era al loro fianco e più la voglia di scappare tormentava l'animo di Dilara. La bionda si sentiva in imbarazzo... e questo stava iniziando ad innervosirla perché - alla fin fine - era la prima volta che succedeva una cosa del genere.
    Perciò imbarazzo, delusione per sé stessa - perché tutto questo la stava letteralmente mandando in tilt - e pentimento - perché sapeva di essere nella parte del torto, nonostante avesse i propri concetti e pensieri morali ben ferrei - era ciò che più descriveva il connubio di emozioni che la stava coinvolgendo.
    Era sempre stata brava a celare i propri sentimenti ma quella mattina le stava andando tutto così storto - dal sonno mancante alla macchinetta del caffé che s'era appena rotta - che dubitava che sarebbe riuscita a farlo ancora un'altra volta.
    Si morse il labbro inferiore e cercò di metter da parte i mille pensieri che l'assalivano. Dopotutto non era lei ad avergli fatto il lavaggio del cervello, non era lei che aveva scelto di aizzarlo contro i suoi simili... non era lei che l'aveva allontanato dal pensiero e l'immagine della famiglia e degli amici che aveva avuto.
    Inclinò il capo di lato, trovandosi perfettamente d'accordo con le proprie considerazioni.
    Evidentemente non hanno abbastanza tempo o voglia per quel che mi riguarda! Dave riuscì a destarla dal "problema" attuale - nonostante Klaus sembrava esser ancora un'ombra nella sua mente -, e di rimando, Dilara non poté fare a meno che cogliere la palla al balzo e tornare a prestare attenzione all'argomento del giorno. - Certo, loro hanno soltanto voglia di complicare la vita alle persone. affermò qualche secondo più tardi, annuendo - poi - alla domanda che lo scienziato le aveva appena fatto. - Esatto, sono Dilara Turan. asserì, presentandosi - indirettamente - anche all'alieno e soldato al loro fianco. - Il lavoro va bene, fortunatamente. commentò - Certo, potrebbe esser un po' più ridotto... ma non sarebbe un problema se avessi un benché minimo di supporto... ed indicò la macchinetta del caffé adesso completamente andata. Sbuffò risentita, alzando le spalle all'affermazione di Klaus, che le affermava quanto fosse dispiaciuto per il suo caffé. - Non preoccuparti, mi rifarò. rispose accennando un piccolo sorriso per poi sbarrare pian piano gli occhi non appena una ragazza propose ai tre di condividere il proprio thermos di caffé caldo.
    - Oddio mi salveresti davvero la vita! rispose velocemente, una mano che andava ad appoggiarsi piano sulla spalla della nuova arrivata.
    Oh... sembrava che Dilara stesse tornando sé stessa...
    Ridacchiò appena e si fece indietro, trovando l'idea di Dave perfettamente adatta a loro. - Trovo sia un'ottima idea! asserì, incominciando a camminare, rimanendo - comunque - sempre al fianco della propria salvatrice. - Ti chiami Alycia, giusto? le chiese. - Ti ho vista più di qualche volta qui. confessò.
    Achimeun dashi ol geoya. Eotteon eodumdo eotteon gyejeoldo.
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    Alycia si rese conto che quello era stato il suo primo tentativo di socializzazione all’interno della base: prima di allora i suoi unici scambi erano stati i “buongiorno” e “a domani” di circostanza. Però pensò che magari farsi degli amici potesse aiutarla a tollerare meglio quel posto…almeno sperava.
    La sua proposta fu ben accolta: nessuno poteva resistere a un bel caffè.
    -Mi sembra una buona idea- disse, dirigendosi automaticamente verso la sala relax più vicina, il nome che i dipendenti davano alle sale in cui si concedevano una pausa, magari per mangiare qualcosa o leggere una rivista. A molti la base poteva apparire come un intricato labirinto, invece lei ne aveva già memorizzato la mappa: andava a colpo sicuro.
    -Sì, sono stata assunta da meno di un mese. Diciotto giorni- rispose alla ragazza bionda. Era solita essere molto precisa, e si sentì un po’ stupida. –E tu sei…- si sporse a guardare il suo cartellino. –Dilara. Bel nome. Perdonatemi, ma non conosco ancora quasi nessuno e men che meno i nomi- disse, rivolgendosi agli altri due ragazzi, invitandoli così a presentarsi.
    Nel frattempo erano arrivati nella saletta più vicina. C’era un ampio tavolo rotondo e dall’aria moderna al centro, con comodi divanetti tutt’intorno. Un paio di piante finte e di tappeti morbidi arredavano la stanza, che comprendeva poi un minifrigo, diversi armadietti e un forno a microonde.
    Sul tavolo era rimasta una confezione di ciambelle glassate aperte. Non era raro che qualcuno lasciasse un dolce o delle bevande.
    -Oggi è proprio la vostra giornata fortunata- rise.
    La ragione sa molte cose, ma la follia ne sa una più grande.
    Alycia Ergüçlü [ sheet ]
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    Ricordavo, perfettamente, ciò che i miei capi mi avevano detto: non dovevo avvicinarmi agli altri. Perfino rispetto agli altri soldati, non mi avvicinavo molto a loro. Ero uno di quelle persone, che si può definire con una semplice parola: asociale. Non per mia scelta, ma più mi dicevano di stare per i fatti miei e più cresceva in me, la voglia di stare da solo.
    Più vengono dette le cose e più volevo restare solo, che ci potevo fare? Non è che conoscessi tante persone lì dentro. Essere un soldato, rendeva la mia visione di vita, abbastanza limitata. Una delle poche cose, che mi impediva di avvicinarmi agli altri, e che non era dipesa dai capi, erano le continue visioni, che avevo sulle persone che erano vicine a me. A un certo punto, mi ero reso conto, che più mi avvicinavo ad alcune persone, e più vedevo cose su di loro. Conoscerle aveva un peso sul cuore, se vedevi cose positive, poteva anche andar bene, ma quando iniziavi a vedere loro feriti o altro, allora il peso sul tuo cuore, aumentava sempre di più, finché non diventava una cosa insostenibile.
    Osservai il gruppetto intorno a me, per poi posare lo sguardo alla macchina del caffè. Se solo avessi conosciuto il meccanismo per aggiustarla, non avrei avuto bisogno di seguirli... ma le mie gambe si mossero da sole, e non potei fare altro che seguirli. Non mi entusiasmava più di tanto, l'idea di bere qualcosa, con qualcuno che non conoscevo... ma almeno, fui l'ultimo a entrare nella stanza. Non volevo lasciarmi cogliere impreparato, quando fosse successo qualcosa. Non che pensavo che sarebbe successo qualcosa, ma meglio prevenire che curare.
    Entrato nella stanza, mi appoggiai al muro e li osservai. Ero sicuro di averli già visti in giro, ma associarli a una determinata sezione, era difficile. Quando ti spostava da parte a parte, tenendo limitata il tuo legame col prossimo, era difficile ricordarti chi fosse chi.
    Aguzzai lo sguardo, quando spuntarono fuori delle ciambelle... sembrava quasi che stessimo facendo una festa. Mi sentivo perfino in colpa, per stare lì a mangiare con loro. Questo mi fece, render ancor più conto, di quanto, mi fossi tenuto a distanza da tutti. Feci una piccola smorfia, e mi avvicinai per prenderne una. - Ha ragione signora - le dissi, leggermente divertito, unico segno che faceva intendere che fossi lì con loro. Mi allontanai, senza nemmeno aver preso il caffè e ritornai al mio muro, nemmeno fosse il mio più caro amico.
    In fondo, ricordiamoci che ero un soldato e loro tutti medici, era ovvio, che tra di noi, erano loro che erano quelli più importanti. Nella gerarchia erano loro, che avevano più bisogno di caffè e non io.

    don't stop me now
    klaus jax-j [ sheet ]
    aliena - CLAIRVOYANCE/SOUND MANIPULATION - soldato caufield - 29 anni
    by psiche
     
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    Sì, sono stata assunta da meno di un mese. Diciotto giorni. Dilara sorrise ed annuendo non poté fare a meno di pensare a lei, a quanto tempo lavorava lì e a quanto duro era stato il suo primo mese all'interno della Caulfield. - Capisco. Ti trovi bene? Qualche problema? domandò preoccupata, dopotutto era sempre una sua "sottoposta", nonostante solitamente non era tipo da seguir assiduamente le gerarchie... o far valere il proprio ruolo.
    Le sorrise cordiale non appena ricevette i complimenti per il suo nome, talmente particolare quanto aggraziato ed allo stesso tempo sconosciuto. Fu proprio quel particolare che la fece ridacchiare appena. - Sì è un po' raro da queste parti... confessò alzando appena le spalle, curvando le labbra in un sorriso più aperto ma quasi malinconico. - Sono nata in Turchia, lì è abbastanza usato. continuò, per poi annuire nell'ascoltare il continuo dell'affermazione della ragazza.
    E chi era - il genio - che lo sapeva? Lì eran così tanti che riuscire a conoscere il nome di ogni fottutissimo lavoratore era pressoché impossibile. - Figurati! Sappi che non riuscirai mai a saperli tutti... e anche se fosse te li scorderai dopo neanche due giorni! ridacchiò divertita, per poi affrettarsi a spiegarsi - ...lo dico per esperienza eh! Sono qui da un bel po' ormai e a stento ricordo una decina di nomi. scosse leggermente il capo e poi sospirò, raggiungendo - finalmente - la sala "relax".
    Oggi è proprio la vostra giornata fortunata.
    Strabuzzò gli occhi e sorrise nell'osservare la confezione di ciambelle ben in vista poste sul tavolo difronte a loro. - Oddio sono le mie preferite. confessò senza vergogna, annuendo alla risposta del soldato e sorridendo ad Alycia, facendo un piccolo cenno a Dave che chiedeva scusa a tutti loro e che s'era allontanato a causa di quella che sembrava fosse una seccante telefonata privata.
    Accennò un sorriso e poi si fece avanti. - Ci sediamo? domandò ai due al proprio fianco, trovandoci soltanto Alycia.
    Ma dove...? inarcò un sopracciglio e scosse il capo, osservando Klaus poco distante da loro in un tipico comportamento da soldato. - Non vuoi sederti? domandò guardandolo, cercando di metter da parte ogni pensiero relativo al passato e a quel che sapeva. - Sarai stanco anche tu!
    Achimeun dashi ol geoya. Eotteon eodumdo eotteon gyejeoldo.
    Yeongweonhal sun Eopseunikka.
    dilara turan [ sheet ]
    human - mortality - scientist - caulfield - 26
    by psiche
     
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    Erano rimasti in tre in sala, e Alycia si rese conto che era la prima volta che socializzava con qualcuno lì dentro, a parte i classici “buongiorno” e “a domani”.
    -Mi piace molto lavorare qui. Ci sono molti strumenti all’avanguardia e poi la mensa è davvero fantastica, non credi?- rispose scherzosamente. Beh, li conosceva appena: non poteva certo dire che trovava assurdo usare tecnologie all’ultimo grido a danno di altri esseri viventi –alieni, ma sempre viventi e senzienti- o trangugiare cheesecake e lasagne in mensa mentre al piano di sotto c’era chi viveva l’inferno.
    Accettò l’invito di Dilara a sedersi, non prima di aver preso da un armadietto tre bicchieri di plastica. Li riempì abbondantemente di caffè, che subito invase la stanza del suo profumo. Decisamente migliore di quello delle macchinette. Si voltò a guardare il ragazzo, un po’ timido e formale persino per lei, Klaus. Era come se si tenesse sempre in un angolo, sempre sull’attenti. I suoi occhi erano indecifrabili, non si poteva dire che fosse felice o triste.
    -Dilara ha ragione, siediti, mangiare in piedi non è proprio l’ideale. E non chiamarmi signora, non sono così vecchia!- disse, aggiungendo subito un sorriso perché non credesse che si era offesa o chissà cosa. –A me va benissimo essere chiamata Alycia- disse, passando in rassegna le ciambelle fino a trovarne una glassata al limone. La prese, assaporandone il gusto dolce e zuccheroso.
    Per un attimo, poteva quasi fingere che tutto andasse bene, e che facesse un normale lavoro e che fosse in pausa con dei normali colleghi.
    Normale.
    La ragione sa molte cose, ma la follia ne sa una più grande.
    Alycia Ergüçlü [ sheet ]
    Umana – Abilità scientifiche - Scienziata – Free us - 27
    by psiche
     
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